martedì 30 ottobre 2012

Nube nera


                                                                         
   


   Una nube nera si delineava all’orizzonte, Federica aveva passato una notte insonne e quel cielo velato le incupiva l’anima. Stancamente si sedette sulla sua poltrona preferita e si lasciò andare ai ricordi.
   Era tanto giovane e pregna di belle speranze: tutto le sorrideva. I genitori la riempivano di attenzioni, profitto scolastico eccellente e amici speciali. L’intero mondo era fra le sue mani, ogni nuovo giorno era come un annuncio felice da vivere nella sua pienezza.
   “Mamma, oggi pranzo da Simona, non aspettarmi! Salutami papino, quando si sveglia!” e si avviò scendendo le scale a perdifiato: non vedeva l’ora di giungere a casa dell’amica.
   Oggi andiamo a fare shopping, poi ci aspettano quei due ragazzi simpatici, chissà che non s'innamorino di noi, a me piace il ragazzo moro, è bellissimo! – meditava così Federica, mentre camminava allegramente lungo il tragitto che la separava da casa di Simona, la sua amica del cuore.
   Con il fiato in gola suonò ripetutamente alla porta della sua compagna: aveva fretta doveva confidarle tutti i suoi propositi. Simona era un tantino pigra e bisognava stimolarla ogni volta, ma a lei piaceva così, in fin dei conti era contenta di condurre il gioco.
   Pigiò il campanello più volte, ma nessuno le apriva.
   Si affacciò una vicina.
   “Chi cerchi?” chiese la donna “No, non c’è nessuno! La poverina è in ospedale.” rispose mestamente.
   Federica ripercorse a ritroso il tratto di strada, la clinica non era distante, nel loro quartiere era sorto da qualche tempo un mega ospedale all’avanguardia.
   Entrò in camera e scorse sul lettino la sua amica dal volto cadaverico e sofferente.
   “Simona!” sibilò preoccupata, dopo essersi accostata “Cosa ti è successo? Perché sei qui? Ieri eri in perfetta forma, abbiamo preso accordi per oggi, non capisco!”     
   “Te lo dico io cosa è successo!”esordì furente la madre dell’amica. “Il tuo papino, il tuo adorabile padre perfetto, violentava mia figlia da mesi, e stamane Simona gli ha detto chiaro e tondo che l’avrebbe rivelato a tutti, che le sue minacce non le facevano più paura e lui l’ha ridotta così! Io l’ho denunciato quel maiale!”
   L’esistenza le crollò addosso, si sgretolarono le sue certezze e il mondo le apparve ostile e malvagio. Lo sbigottimento lasciò il posto alla rabbia furente che s’impossessò di lei, non ebbe la forza di restare lì, si sentì sporca per quel padre schifoso che le era toccato come genitore.
   “L’hanno arrestato!” disse fra le lacrime sua madre “Un uomo così perbene, un marito adorabile. Si saranno sbagliati. Dovevi vederlo, l’hanno buttato giù dal letto, non ha parlato!”
   “Mamma, dobbiamo andar via da questo posto, la gente ci guarderà storto. Papà è uno stupratore!” si seppe in seguito che aveva violentato altre due ragazze, le quali si fecero vive dopo quella circostanza.
   Quanti anni erano trascorsi? Sua madre era vissuta con lei che aveva trovato lavoro dapprima come cassiera in un supermercato e poi come responsabile in una catena di alimentari. Si era guadagnata la stima della gente, in quella città ai confini del suo stato nessuno conosceva il fattaccio. La madre di Federica era morta dopo pochi anni di crepacuore e lei viveva solo per il lavoro e la solidarietà: durante il tempo libero si dedicava all’assistenza degli anziani senza famiglia.
   “Marcello, ti ho portato un brodo caldo, vediamo se ti vien voglia di mangiare?” annunciò allegramente Federica, a quell’anziano triste e solo. “Raccontami di te, perché non abbozzi mai un sorriso? E’ il tuo volto la causa dei tuoi problemi?”
   “La mia faccia si è sfigurata durante un incidente d’auto.” rispose pacatamente “Ho perso la felicità, non per la disgrazia dalla quale sono uscito vivo, ma per non aver avuto la forza di difendermi quando avrei dovuto.”
   “Da cosa, Marcello? Ora siamo amici, a me puoi dirlo.” esortò Federica comprensiva. Quell’uomo le suscitava sentimenti buoni.
   “Non posso, ti perderei!”
   “Quando ti sentirai pronto, io ci sarò.” comunicò lei in amicizia.
   Quella nube si allontanò e rischiarò il cielo, era domenica doveva andare da Marcello. Gli avrebbe chiesto di venire a pranzo da lei, il calore di un’altra casa forse l’avrebbe rallegrato e chissà si sarebbe confidato; lei dimenticava le sue tristezze quando faceva del bene.
   Suonò a quella porta, suonò ancora.
   Che strano – pensò – è tutto come quel giorno lontano.
   Nessuno le apriva, sentiva uno strano presagio. Ci pensarono i vigili chiamati da lei, sfondarono la porta e trovarono Marcello esanime riverso sul tappeto; stringeva una lettera fra le mani, in calce una postilla “PER FEDERICA” .
  
   “Io non ho mai violentato nessuna. Sono stato accusato ingiustamente e l’infamia mi ha ucciso.
    A quel disonore se ne aggiunse altro e non mi difesi, chi mi avrebbe creduto?
    Tutto era contro di me. Avevo una sola colpa quella di non aver parlato.
    La tua amica inscenò ogni cosa, si era infatuata di me ed era gelosa della tua felicità.
   Mi perseguitava, diceva che avrebbe sempre asserito il falso.
   Le altre ragazze furono indotte da lei, sperava che cedessi al suo amore.
   Quando siete scomparse tu e tua madre, lei sperava ancora.
   Ho espiato una colpa non mia.
   Dopo sono vissuto solo, ma il Signore ti ha rimesso sulla mia strada.
   Io ti ho sempre …”

“Oh, papino!” e scoppiò in un pianto disperato.   

giovedì 25 ottobre 2012

Corsi e ricorsi

            

   Ormai siamo alle strette, pian piano ogni cosa sta morendo, ieri c'era ed oggi non c'è più. Ti guardi intorno e scorgi ancora qualcosa e la osservi: ti piace, sai che c'è, ma domani? Che incertezza il domani: l'orizzonte diviene sempre più oscuro, langue e non ce la fa a mostrare il suo volto. 
   Difficile l'esistenza, difficile per chi ha sempre creduto, sempre lottato e guadagnato ciò che s'era conquistato. Faceva progetti il lui vissuto nella rettitudine, sapeva che vi erano coloro che s'approvvigionavano di false referenze, di lasciti misteriosi, di beneamate concessioni, ma sempre il lui tutto prodigo d'onestà e impegno, non pensava mai che avrebbero tolto anche a chi spremeva le sue intelligenti meningi e a chi adoperava i suoi muscoli vogliosi di fatica. Come dire so, ma mi lasciano vivere; so, perché è da tanto che subodoravo, ma mi lasciano campare nella mia onestà. Ora quel mi lasciano vivere dov'è? 
   E l'orizzonte è sempre più lontano, lo scrutiamo ma non riusciamo a scorgerlo. Il giorno dopo ti alzi e t'accorgi che chi riusciva a vivere, è condannato alla morte lenta perché ha perso la sua dignità, il lavoro sancito dalla costituzione come diritto non è più un suo privilegio. E chi ha impegnato il fiore della sua intelligenza non sa da che parte farla fiorire e medita, medita altri orizzonti: obtorto collo deve rinunciare alle sue radici. E la rabbia sale, sale dal basso sino in cima e corrode, esplode. Oddio perché chi ha già e tanto, allunga le sue mani alla ricerca di altro ancora? 
   "L'avessi io il suo reddito." dice il lui privato della sua dignità "Ci farei campare la mia famiglia, quella di un altro e avrei un bel gruzzolo come fondo spese. Ma che dico farei anche beneficenza."  Perché, perché, si chiede l'onesto lavoratore. Perché, perché si chiede il talentuoso, grande studioso. Perché, perché, si chiedono coloro che hanno dato l'anima, se stessi; se lo chiedono anche quelli che non ci sono più e che hanno versato sangue glorioso, vorrebbero risorgere per dar man forte a tutti i perseguitati, a tutti i vilipesi, a tutti quelli che piangono lacrime prive di sapidità, vorrebbero cacciar via tutti gli insaziabili che con la loro avidità hanno sminuito il progresso.
   Poi... sempre il lui tradito, il lui privato della sua dignità, osserva il nuovo giorno e il sole sempre più fulgido, quel sole gli riscalda il cuore, gli annebbia la vista con il suo cocente splendore. Lo osserva ancora e lo ama nuovamente, quasi quasi aveva smesso di guardarlo. Lo osserva e sente che sarà quel sole a fargli riavere il suo orizzonte: lui non deve gettare la spugna annullandosi, come hanno fatto in tanti privandosi della vita, lui darà filo da torcere a quei famelici divoratori. La storia è fatta di corsi e ricorsi e il regresso, anche se lentamente, diverrà un ricordo! 

domenica 21 ottobre 2012

La vita


                                                                                          


   La vita… mi soffermo a riflettere su questa parola che a prima vista sembrerebbe fatta di poche pretese, soltanto due sillabe, di facile lettura e dal significato comprensibile, ma il concetto intrinseco del suo lemma è talmente profondo che non ci sono altri vocaboli di uguale importanza.   
   Se esaminiamo questa parola, come per tutte le altre, i significati sono molteplici secondo la collocazione nella frase, per cui c’è la vita come esistenza di un nuovo organismo umano, animale e vegetale, ma anche vita nel senso più ampio che indica il modo di condurre l’esistenza, di donarla a fin di bene, di perderla a causa della morte e poi il costo della vita, una vita grama, una conversazione senza vita e tanto ancora.       Quindi vita , uguale nascita in tutti i sensi sia sociali, lavorativi, materiali, economici, ambientali, morali.
   La vita intesa come procreazione di un proprio simile è il significato più alto, ma essa è donata a volte senza la consapevolezza dell’importanza. Quella vita può scaturire da un momento di piacere voluto e desiderato, ossia da un atto d’amore, e in altre occasioni da un atto di violenza o da un amplesso che non cercava il concepimento.
   Quando la vita nasce dalla coppia bramosa della continuità, ha il volto della gioia e della riconoscenza, ma negli altri casi la futura vita non avrà una facile esistenza, sarà un relitto abbandonato alle onde impetuose in uno sballottio dall’approdo incerto e sofferto.
   Colui che viene al mondo per scelta, anche essendo stato desiderato, avrà comunque l’incertezza nel suo futuro, tutto dipenderà dalla sua famiglia: genitori responsabili ed amorevoli penseranno alla sua crescita non solo fisica e gli doneranno un clima sereno, sani valori e regole di vita, nonché comportamenti corretti ai quali ispirarsi, tutto condito con amore formativo.       
   Poi ci sono genitori che quantunque abbiano desiderato dare nuova vita, non ne capiscono l’importanza, vedono nel minuscolo essere un giocattolo senz’anima sul quale esercitare superficialità, indifferenza, glaciale comportamento, disciplina ferrea e nei casi limiti anche prepotenza, violenza, ferocia, cattiveria, stessa sorte subita dalle nuove vite abbandonate o affidate al loro destino che il più delle volte è costellato da sofferenze.
   Come ha detto un Grande (Tagore): “la vita non è che la continua meraviglia di esistere”, facciamo che questa meraviglia sia onorata dall’apprezzamento, che sia cercata con la consapevolezza dell’importanza, come fanno tanti che lottano, s’impegnano, si sacrificano in nome di essa: una vita non si distrugge, ma si AMA.
   E poi? All’improvviso per un destino crudele quella vita, tanto amata, per la quale ci siamo prodigati, viene strappata da un incidente che non sempre avviene per superficialità della stessa vittima: vi sono casi in cui  il malcapitato resta coinvolto in frangenti improvvisi non voluti, non cercati, come ad esempio chi viene investito mentre sta attraversando o semplicemente passando di lì in quel determinato momento; tutte circostanze che strappano la vita e lasciano i congiunti della vittima a vivere un dramma doloroso.
   E poi? Vivere una storia d’amore e non sapere che potrebbe avere un epilogo tragico, vittima per amore. Essere vittime a diciassette anni, perdere la vita in difesa della persona bersaglio dell’assurda follia.
   E poi? Perdere la vita per troppo amore. Chiedere semplicemente di prendere una decisione, di scegliere e  giungere all’esasperazione, ponendo un out-out.
    Difficile l’esistenza, difficile la continuità!  Del resto far parte della meraviglia che si perpetua, nonostante tutto, non ha certezze; mi spiace tanto per chi piange i suoi cari vittime innocenti di un assurdo destino.   

mercoledì 17 ottobre 2012

Figli contesi

   Un argomento che in questi giorni è sulla bocca di molti, il caso del bambino conteso.
   "Salviamo almeno i bambini dalle piccolezze umane devastatrici, salviamoli perché essi rappresentano il nostro futuro. Bisogna farsi guidare dall'amore e non dall'odio!"
   Questo è il mio sintetico pensiero al riguardo, "qui" una mia riflessione di più ampio respiro.

venerdì 12 ottobre 2012

Guarda, c'è Platone in tv!

                                    

   Mi hanno regalato un libro di narrativa che tratta di filosofia. In chiave ironica vengono presentati i sommi maestri della filosofia, i filosofi antichi; in quarta di copertina è scritto: "Altamente istruttivo e altamente divertente, questo è un libro di etica narrata. Una cosa nuova sul mercato delle idee. Una cosa di cui si sente sempre più il bisogno..."
   Innamorarsi e restarne soggiogati, nella vita vi sono vari innamoramenti e non solo di tipo sentimentale: l'autrice dopo aver letto "Storia della filosofia greca", libro scritto da Luciano De Crescenzo, al quale dedica un particolare ringraziamento, subisce un colpo di fulmine filosofico. Ma l'innamoramento nasce in lei sin dalle scuole elementari è lì che il seme radica con la conoscenza di Pitagora, in seguito amerà Platone per il "Simposio", Aristotele per il principio di non contraddizione, Epicuro per la concezione dell'amicizia e Cartesio per il cogito. Lei dice che senza di loro la sua vita sarebbe stata vuota.
   Giovanna Zucca, è un'infermiera e lavora come strumentista e aiuto anestesista; è laureata in filosofia e tiene parecchi seminari. Avete già avuto modo di conoscerla, attraverso la mia presentazione del suo libro d'esordio "Mani calde" che tratta la storia di un bimbo scampato alla morte dopo il coma. Questo libro è la libera rielaborazione della sua tesi di laurea e nella parte conclusiva, dedicata ai ringraziamenti, l'autrice con umorismo si addossa ogni responsabilità della sua eventuale "cialtroneria intellettuale" (queste sono le sue precise parole).
   La narrazione comincia con alcune righe tratte dal Parmenide di Platone: "Zenone, che cosa vuoi dire? Che se la realtà è molteplice, i molti devono essere insieme simili e dissimili, ma questo è impossibile, perché le cose dissimili non sono simili, né quelle dissimili?..."
   Siamo a casa di Giovanna che con tanta buona volontà tenta di leggere il Parmenide, fa molto caldo e la concentrazione è  scarsa, le disquisizioni filosofiche fra Socrate e Zenone sono astruse e incomprensibili, l'ontologia è difficile da apprendere.
   La scena si sposta a casa di una famiglia romana, stessa serata calda, in televisione un evento importante, una serata speciale di "Porta a Porta" con ospiti illustri, i mitici maestri della filosofia chiamati lì per discutere il tema della virtù come bene comune. Si parla di un evento straordinario con collegamenti satellitari, seduti in studio ci sono già il "divino" Platone, Aristotele di Stagira ed Epicuro di Samo; seduti tra il pubblico altri illustri maestri contemporanei, Gianni Vattimo, Massimo Cacciari e Luciano De Crescenzo. La famiglia romana, come tante altre, ha il televisore acceso, lo speciale di Vespa incuriosisce il signor Nando che richiama sua moglie Grazia; sopraggiungono in un secondo momento la fidanzata del figlio ed in seguito il ragazzo. I coniugi romani, a digiuno totale di filosofia, attraverso le spiegazioni della ragazza s'incuriosiscono e decidono di seguire il programma con molto interesse anche per imparare qualcosa. La signora Grazia comprende che gli argomenti filosofici riguardano la quotidianità e che la filosofia aiuta nella comprensione degli stessi.
   La scena si sposta, poi, in Sicilia, un professore di filosofia in pensione  non crede ai suoi occhi quando vede sul palcoscenico di "Porta a Porta" i sommi maestri; finalmente trattano la sua amata materia insegnata con fervente passione; crede che il tutto sia un artifizio metafisico e si irrita soltanto quando scorge De Crescenzo seduto tra il pubblico. Entrambe le situazioni sono narrate nell'idioma di appartenenza, infatti i dialoghi sono in perfetto romanesco e in perfetto siciliano.
   I filosofi durante la trasmissione sciorinano acuti pensieri  e disquisiscono sul valore della virtù, si scatena una diatriba che porta i telespettatori a comprendere meglio gli avvenimenti contemporanei alla luce della filosofia antica. Vespa ha molta difficoltà a condurre il programma, il tutto sembra sfuggirgli di mano e spera di placare i sommi maestri con l'ultimo ospite: durante la puntata una poltrona è rimasta vuota, si attende il Grande Cartesio, che involontariamente è stato dirottato altrove.
   Questo è un libro non solo etico, ma anche pedagogico: trattare un argomento importante, sotto forma di narrazione, è particolarmente adatto per coloro che necessitano di un approccio ad una materia che migliora il modo di pensare e di ragionare sull'esistenza nella sua totalità. Tutti noi ci chiediamo il senso delle cose e perché esistiamo, e questa è "Filosofia"; Giovanna Zucca si pone come obiettivo insegnare la filosofia dei Grandi, ossia l'amore per il sapere.

mercoledì 3 ottobre 2012

Pura realtà

              

   So che è arrivato, è in compagnia della sua famiglia, la moglie e il giovane figlio; so che c'è e non nascondo ai miei la curiosità di conoscerlo. Non è il Presidente della Repubblica, né tanto meno un'illustre persona, ma è uno che facendosi da sé e sfidando la sorte occupa ora un posto di prestigio e il che non è poco.
   Entro con aria di circospezione e mi accorgo subito del nuovo arrivato, dopo i convenevoli e le presentazioni di rito mi accomodo ad una poltroncina in giardino; lui abbastanza informale prende posto di fronte a me, ha un sorriso bonario e sincero, un tipo qualunque mi dico. La conversazione prende quota, così semplicemente: a volte ci immaginiamo delle complicazioni che finiscono poi per dissolversi come bolle di sapone.
   Mi guarda e mi dice: "Ti racconterò la storia della mia vita, sembra una favola, ma è la realtà."
   Sono nato in un paesino che ancora oggi non offre risorse ai suoi abitanti, quella vita mi stava troppo stretta e desideravo realizzarmi, allora partii allo sbaraglio, in tasca avevo solo centomila lire ricevute da mia nonna. Raggiunsi la metropoli per eccellenza e mi adattai a fare lavoretti d'ogni genere, la voglia non mi mancava e il desiderio di farcela era più forte d'ogni cosa. Vissi un lungo periodo di privazioni, di adattamenti, di sopportazioni e di umiliazioni; mio padre venne a trovarmi e quando comprese, mi consigliò di mollare tutto e di tornare al paesello. Io non lo ascoltai e continuai a cercare la mia strada. Il caso volle che potessi essere assunto come cameriere in un noto ristorante della città, meta di uomini che contano nel mondo della finanza, dello spettacolo, della moda. Ero socievole e disinvolto, sapevo come servire ai tavoli con classe e savoir faire  e quando una mattina due uomini ben vestiti chiesero chi avesse servito la sera prima il "dottore", io mi feci avanti con molta naturalezza, mentre i colleghi intimoriti s'inabissarono nelle cucine. Mi fu chiesto: "Lei sa chi ha servito ieri sera?" risposi di no e da quel momento cominciò la mia avventura.
   Il "Dottore" che chiamavano tutti così per il titolo ben meritato, sia per cultura che per importanza, mi volle al suo servizio e lo osservai veramente quando attraverso la vetrata del suo studio mi fece cenno di avvicinarmi; lo osservai quella famosa mattina in cui le sue guardie del corpo mi condussero alla villa in Rolls-Royce. Divenni il suo uomo di fiducia, in breve tempo mi occupai dell'amministrazione del suo impero e imparai il mestiere di organizzatore di grandi eventi; il mio nome divenne importante e conosciuto, ma soprattutto stimato. Restai al suo servizio per un decennio e quando egli morì per cause poco chiare, nonostante la moglie volesse che io continuassi a dirigere il tutto, feci l'organizzatore grandi eventi per uno stilista di fama mondiale, poi di un altro ancora, sinché non fui notato da un imprenditore molto noto che, dopo avermi fatto frequentare un corso formativo di sei mesi, mi nominò suo uomo di fiducia e Personal Coach aziendale. In direzione, attualmente, sono all'ultimo piano nella stanza del capo e quando al mattino varco l'ingresso e prendo l'ascensore per salire in alto, penso costantemente che la vita è fatta di incontri giusti e di tanto impegno, nonché di voglia d'emergere e, nel mio caso, di tanta onestà. Io non sono mai sceso a compressi, conosco segreti che tanti farebbero carte false per venirne in possesso, in passato mi hanno anche fatto delle offerte, ma ho sempre osservato la mia etica, quella che ho ricevuto in dono da mio padre ed è quella che conta più del denaro. Chi mi ha assunto, di volta in volta, sapeva che di me si poteva fidare e che continuerà a fidarsi. Loro, i personaggi molto in vista, senza uno staff alle spalle non potrebbero muoversi ed io sono colui che tiene in piedi lo staff; come abbia imparato a farlo ancora non so.
   Sono senza parole e gli dico: "La tua storia farebbe veramente gola a molti, i personaggi da te nominati sono molto in vista, ma se tu lo facessi non avresti più sul volto quel sorriso sereno."
   "Proprio così!" mi risponde, allora molto semplicemente si alza e si appresta a dare una mano nell'apparecchiare la tavola: è ora di cena e la serata al fresco in giardino ha stuzzicato l'appetito.