lunedì 28 settembre 2015

Alla ricerca della verità

   


   Non era, poi, assolutamente improbabile; forse avrebbe dovuto cercare a lungo, andando allo sbaraglio, e del resto non aveva nulla da perdere, si disse. Poteva farlo, il tempo libero l'avrebbe dedicato a quello scopo. Era pur vero che erano trascorsi vari anni: il tempo, si sa, cambia le situazioni. Ma lei voleva tentare, era come una sfida con se stessa, giusto per avere quella risposta che le era mancata.
   Gloria si mise, così, alla ricerca; tornò nel luogo dei suoi ricordi e si accorse che quel posto era solo leggermente mutato: l'edilizia l'aveva stravolto parzialmente, mentre all'epoca del suo vissuto gli spazi erano più ampi, meno parcheggi e meno stradine asfaltate che conducevano alle nuove costruzioni. Faceva fatica a scrutare la gente: sperava di trovare volti noti, i volti della sua memoria. Quella speranza risultò vana: il tempo muta le persone e le fisionomie si alterano, quindi lei cosa si auspicava? Tornò alla sua realtà con lieve rammarico: il primo tentativo era rimasto disilluso, ma alla fin fine sapeva che non sarebbe stato facile. Non si scoraggiò e non demordette: avrebbe continuato quella ricognizione, nel fine settimana non avrebbe fatto altro.
   Cominciò con il frequentare assiduamente un bar della zona centrale, in quel luogo di passaggio il gestore, o chi per lui, avrebbe dovuto conoscere quasi tutti gli abitanti, in special modo quando il borgo è a misura contenuta. Ormai si era instaurato un certo rapporto confidenziale, sembrava quasi che la proprietaria del bar l'attendesse per intavolare una conversazione amichevole all'insegna del garbato umorismo. Battute ironiche buttate lì per caso, amene constatazioni sugli accadimenti della vita, entrambe le donne finirono, nei momenti di pausa, per appartarsi al tavolino d'angolo e sorridere amabilmente. Evelina, la curatrice del bar, dal comportamento spensierato e sereno, un pomeriggio stupì Gloria quando le confidò di suo marito, giocatore incallito. Le carte avevano scavato un abisso fra loro, solo litigi e patimenti che avevano fatto franare la loro unione, il matrimonio sopravviveva per le promesse di un cambiamento. Lui si giocava tutto: pian piano le aveva dilapidato ogni bene, era rimasto solo il bar e lei temeva che da un giorno all'altro le togliessero anche quello. Malediceva il giorno in cui si era innamorata di lui, era come un maleficio che ancora la soggiogava, la sola voce persuasiva e sdolcinata le faceva credere che tutto sarebbe cambiato, non sapeva come liberarsi di lui. La sua vita era una recita, una farsa che continuava a mettere in scena per non addolorare i genitori che l'avevano messa in guardia su di lui, si diceva in paese che corresse appresso ai soldi e che provasse interesse per le ragazze ricche. Gloria seppe dalla donna che il marito si faceva vedere al bar solo il mercoledì, giorno di riposo dai sollazzi ricreativi, allora contravvenendo ai suoi principi lavorativi, chiese un giorno di permesso: la curiosità era tanta, doveva conoscere il giocatore d'azzardo.
   Mentre era in macchina per recarsi a quel borgo, distante una cinquantina di chilometri dalla sua città, le tornarono alla mente vecchi ricordi e si rivide giovane e innamorata del suo bel Tommy, un ragazzo che la travolse con il suo forte sentimento. Vissero una storia intensa, lui la circondava di premure e di affetto smisurato: nonostante la distanza che intercorreva tra loro, lui lavorava in un'altra regione, trovava il modo di essere presente ogni fine settimana. Molto spesso lui la conduceva nel suo paese d'origine e le mostrava i vicoli della sua infanzia, i luoghi che l'avevano visto crescere e che, assieme alla famiglia, aveva dovuto abbandonare per esigenza di lavoro, così diceva; in varie occasioni le aveva presentato anche degli amici. Il loro amore crebbe e facevano progetti di matrimonio, poi, Gloria notò una certa freddezza, non seppe imputarla a una qualunque ragione, tutto prese una svolta diversa quando lei dichiarò che per costruire qualcosa nella vita bisognava guadagnarselo con sacrificio: lei non viveva di rendita. Così di punto in bianco senza una spiegazione lui scomparve dalla scena della sua vita e lei non fece nulla per cercarlo, l'orgoglio ferito la fece desistere, ma a distanza di tempo ebbe l'impulso d'indagare. Non seppe perché le fosse tornato tutto in mente, come quei semi che germinano all'improvviso, ora aveva bisogno di risposte e sentiva che le avrebbe trovate in quel bar: forse il marito di Gloria conosceva il suo Tommy, anche se non viveva più lì, e lei, dal canto suo, non poteva cercarlo da nessun'altra parte in quanto lui non aveva fissa dimora lavorativa.
    Parcheggiò l'auto e, sbirciando il locale, rimase di stucco: l'uomo che parlava animatamente con Evelina era lui, il Tommy dei suoi ricordi, solo leggermente invecchiato, ma era pur sempre lui. Che carogna, ora comprendeva molte cose. Scappò come una ladra: non voleva complicazioni, e si disse che in fin dei conti era stato un bene per lei non possedere nulla.
   Il cielo le sembrò più terso, la nuvola che sembrava delinearsi all'orizzonte era scomparsa ed anche la sua anima ora era sgombra da nubi: aveva ricevuto quella risposta mancante, ma al tempo stesso si sentiva addolorata per la sua nuova amica. L'avrebbe aiutata, le avrebbe parlato e raccontato: questa volta non avrebbe lasciato nulla in sospeso.






sabato 19 settembre 2015

Macchinazione (parte quattordicesima)

                       

   Nicola cominciò a spiare l'orfanotrofio, dopo averlo individuato finì per appostarsi e cogliere i momenti di quelle uscite dei bambini che vivevano lì; non sapeva perché lo facesse e man mano che passavano i giorni, giunse a pensare che se lui avesse adottato uno qualunque di quei bambini sarebbe stato meno solo, del resto avrebbe soddisfatto l'inesaudito desiderio d'avere un figlio biologico. Ma per prima cosa doveva rivedere Fiorenza, doveva chiederle scusa, avrebbe trovato il modo di farle comprendere che lui non era una bestia e che se avesse acconsentito lui l'avrebbe sposata, le avrebbe dato una casa dignitosa, e con l'adozione la famiglia sarebbe stata perfetta.
   Un giorno tentò il tutto per tutto, doveva entrare nelle grazie delle suore e dopo essersi fatto ricevere dalla Madre Superiora, si offrì come volontario tuttofare, lavoretti sia idraulici che di altro genere: un grosso stabile necessita all'emergenza di qualche manutenzione straordinaria. Si accordarono per il pomeriggio inoltrato, momento in cui Nicola terminava il suo lavoro e ogni giorno si recava all'orfanotrofio per rendersi utile, lo faceva con gentilezza e disponibilità.
   Oramai era diventato un membro di quella comunità e poté fare quelle domande alle quali teneva; seppe così che Fiorenza era morta di parto e che il bambino viveva presso di loro in attesa di un'adozione.
   "Oh, Madre, che dispiacere! Ho conosciuto la ragazza quando era a casa del sindaco. Ma il padre non potrebbe prenderlo con sé?"
   "Impossibile," rispose la Madre Superiora "la ragazza non sapeva neanche di essere incinta quando è venuta qui. Lei non aveva una crescita intellettiva, sicuramente il lui misterioso si approfittò di lei."
   Oramai era diventato un chiodo fisso, doveva conoscere il bambino. Maschio, pensò, tanto meglio l'avrebbe aiutato nel lavoro, così come faceva suo padre anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo, intransigente e severo, una formazione richiede un comportamento rigoroso, si disse. Per cui non avrebbe avuto remore di nessun tipo, del resto se le suore avessero acconsentito offriva al bambino un tetto. Modesto, ma pur sempre un tetto che era sempre meglio del collegio lugubre, dove vigeva una disciplina carceraria ben diversa da quella che avrebbe impartito lui, in cambio il bambino avrebbe dovuto contribuire con il lavoro e lo spazio domestico sarebbe stato tutto suo e un giorno lo avrebbe ereditato assieme al laboratorio e alla professione che gli avrebbe insegnato.    
   E lo conobbe: se lo fece indicare. Appena lo vide comprese che era suo figlio, non c'erano dubbi, stessi occhi scuri, capelli ricci e quel modo irriverente di porsi, quel comportamento misto a tanta compiacenza che serviva in più occasioni. Gli sorrise e gli porse un piccolo meccano, una scatoletta contenente barrette di ferro, viti e bulloni, era un residuato di vecchi pezzi che accantonava per avere una scorta di materiale utile per il suo lavoro.
   "Cos'è?" chiese Vittorio guardando con velata diffidenza. Piccolo ma scaltro, proprio il tipo che piaceva a lui. Buon sangue non mente, pensò.
   "E' un gioco per i maschietti intelligenti come te. Potrai costruirti un modellino o ne farai quello che vorrai."
   "Grazie, signore! Ma perché proprio a me?"
   "Mi ricordi me da piccolo, alla ricerca di giochi diversi."
   Cominciò così la frequentazione del bambino e dello stagnino, la Madre Superiora  convenne fra sé che era giunta l'ora di far firmare quelle carte a Nicola: Vittorio sarebbe divenuto suo figlio.

(continua)

giovedì 10 settembre 2015

Macchinazione (parte tredicesima)

   

   Quando la moglie di Nicola morì, nonostante tutto, lui si sentì solo: inizialmente aveva sposato Caterina per amore, era stato il percorso matrimoniale a fargli scadere dal cuore la donna e lui sapeva il perché. L'incapacità di dargli un figlio e poi la sua freddezza, a letto si negava e il più delle volte era costretto a prenderla con la forza: un uomo ha le sue esigenze, le diceva, e i doveri coniugali andavano compiuti. Col tempo Caterina divenne sempre più distante, al tutto si aggiungeva il fatto che lui le rinfacciasse la sterilità.
   "Non sei stata capace neanche di farmi un figlio, non vali niente come moglie. Un giorno o l'altro me lo farò fare dalla prima che incontro." urlava.
   Lei non rispondeva più, abbassava il capo e sgobbava, lavorava anche saltuariamente nei campi come stagionale e desiderava tanto un'altra vita; un uomo amorevole, romantico, curato. Nicola tornava a casa sporco e si lavava sommariamente, le unghie erano rigate di sporcizia che nel tempo si era solidificata e poi puzzava, quanto puzzava! Quando si coricava accanto a lei, ne avvertiva il tanfo e il disgusto le faceva rivoltare lo stomaco. Ma non diceva nulla, si voltava dall'altra parte e fingeva di dormire, tranne le volte in cui lui la prendeva con la forza e lei inerte mentalmente pregava che finisse subito e accadeva infatti che il rapporto durasse una manciata di minuti, buon per lei, poi Nicola crollava nel suo sonno e lei si alzava, si ripuliva e tornava a letto aspettando di riaddormentarsi con la morte nel cuore. Ai campi vi erano altre donne sposate che si lamentavano del loro matrimonio: all'inizio entusiasmo, amore, poi doveri, solo doveri e attenzioni zero, meno che mai romanticherie che ogni donna vorrebbe per sempre. Allora si convinse che non avrebbe dovuto sposarsi, perché tanto il matrimonio è una prigione senza via d'uscita e si augurava la morte che le fece un regalo quando contrasse il tifo, dopo aver mangiato della verdura raccolta dalla terra e non lavata.
   "Sono contenta, sai,"disse al marito febbricitante nel suo letto di morte "sono contenta perché la mia vita con te è stata un supplizio."
   Nicola si mise a riflettere su quelle parole e non trovò il motivo di tanto acredine, giunse alla convinzione che la sterilità l'aveva resa incapace di connettere. Lui era stato un marito fedele, a parte quell'unica volta che aveva violentato la minorata mentale; era stato un gran lavoratore: non le faceva mancare nulla, lei andava nei campi, ma non ce n'era bisogno e poi le aveva dato una casa confortevole, piccola ma con gli spazi giusti e ogni anno la portava alla festa patronale, persino le regalava qualche chincaglieria d'esposizione. Ah, che ingrate le donne, pensò!
   I giorni passavano e Caterina gli mancava, si sentiva solo, poi si ricordò della ragazza che aveva preso con la forza e tornò a casa della moglie del sindaco. Chiese di Fiorenza e gli fu detto che da tempo aveva lasciato la casa per stabilirsi presso l'orfanotrofio più vicino che cercava una sguattera a tempo pieno; la signora non se l'era sentita di rifiutare e aveva acconsentito: le suore non se la passavano bene e vivevano della solidarietà, Fiorenza non sarebbe costata nulla.
   Nicola era da un po' che viveva del ricordo di quella ragazza, quasi gli rimordeva la coscienza di averla stuprata: lei non aveva neanche capito, era quasi incapace d'intendere e lui ne aveva approfittato, era come se sua moglie dall'aldilà gli avesse acceso nel cuore una briciola d'umanità!

(continua)

domenica 6 settembre 2015

Rientro a casa

   


   Sono nuovamente qui con immensa gioia, le vacanze per me sono terminate, si sono succeduti avvenimenti lieti, qualche intoppo salute, per fortuna superato, condivisioni con gli amici di sempre: accade quando ci si conosce da tempo e si diviene una famiglia. Caldo, tanto caldo che ancora non dà tregua e anche bellissime giornate al mare in un clima spensierato che solo la natura può offrire: è come se si fosse lontani dal mondo con le sue tristi realtà.
   E la dimensione tempo pareva essersi allontanata, bello è uscire fuori dai canoni della normale quotidianità, regalarsi momenti di relax mentale e parlare, comunicare, confrontarsi, partecipare, essere una comunità che interagisce, certamente non tralasciando le problematiche che ci attanagliano e guardarle attraverso uno schermo che in quel momento sembrava renderci spettatori.
   Si partecipa agli eventi vacanzieri, una sorta di programma a scelta il tutto innaffiato da passeggiate sul lungomare, ascoltare le orchestrine di turno e osservare la merce multicolore esposta nei vari box che ravvivano il viale di passaggio.
   E la domenica, partecipare alla celebrazione eucaristica all'aperto, al fresco dei pini in una condivisione totale, in uno slancio sincero senza fronzoli o atteggiamenti tipici dei luoghi di culto al coperto, quella condivisione concessa anche ai fedeli amici dell'uomo.
   Poi arrivano le partenze, i saluti e l'arrivederci, a Dio piacendo, all'anno prossimo.
   Giunge il rientro e si torna alla vita di sempre, a quella che in definitiva vive nel nostro cuore per gli affetti, per i luoghi che ci hanno visto crescere: sono le nostre radici. E pur notando difetti del luogo che ci ospita, è il posto del cuore, dei nostalgici ricordi, è la nostra terra e il richiamo è sempre forte!  


(Cari amici con calma passerò a leggervi, il mio caro pc bloccato finalmente è dal mio tecnico di fiducia: dove mi trovavo sono incappata in un incompetente che ha peggiorato il tutto e per non sbagliare ancora non mi sono cimentata nell'acquisto di uno nuovo, mi avrebbero rifilato qualcosa di obsoleto. Per scrivere questo comunicato sto adoperando un computer che avevo messo in pensione da un bel po', comunque anche se è una lumachina fa il suo dovere. Un saluto a tutti)